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Mersenne e Giordano Bruno. 1624-2024

A quattrocento anni dalla prima dedica di un trattato di Marin Marsenne a Giordano Bruno

05 07
 Lorenzo Paciaroni    0 Comments

Nel 1624 Marin Mersenne pubblica a Parigi, primo in Europa, un trattato contro la filosofia di Giordano Bruno: il secondo volume dell’Empietà dei deisti (L’impiété des déistes, seconde partie). Il filosofo condannato al rogo a Campo de’ Fiori il 17 febbraio 1600, protagonista di un lungo processo e di una condanna che ha assunto, nella storia italiana, un rilievo che lo ha reso una delle principali figure di riferimento del laicismo post-risorgimentale, è in realtà, nel periodo in cui Mersenne pubblica il suo trattato, ancora conosciuto principalmente da un ristretto gruppo di dotti. Mersenne, interessato a cogliere le possibili connessioni fra nuove filosofie, nuova scienza e teologia, rivela proprio in tal senso una notevole perspicacia nell’individuare nell’infinitismo bruniano e nel propagarsi delle idee del filosofo italiano, una delle più significative e insidiose matrici della modernità, e nell’accostare Bruno, per la portata eversiva delle sue concezioni metafisiche sul piano morale e religioso, all’anonimo deista autore dell’Antibigotto, il poema libertino confutato nel primo volume dell’Empietà. Questo testo di Mersenne, del quale ricorre quest’anno il quarto centenario, è un’opera da leggere con attenzione. Il Minimo vi ingaggia un confronto serrato con i testi bruniani, analizzandone e confutandone i passaggi cruciali; attento alle dottrine che vede diffondersi in Francia presso coloro che hanno ascoltato direttamente il filosofo quando ha insegnato a Parigi e coloro che ne leggono i libri: «mi stupisco – scrive a proposito del De la causa, Principio et Uno – che i nostri Francesi si divertano a leggere questo libro malvagio» (Impiété, II, 364).

marsenne
Empietà dei deisti
Le idee di Giordano Bruno secondo Mersenne rovesciano i fondamenti della religione cristiana, fondano una morale non religiosa, propongono un mondo animato da un’anima universale. La sua metafisica stabilisce non l’infinità del mondo o dei mondi – dottrina possibile da sostenere o da ‘dimostrare’, scriverà Mersenne in una lettera del 1632 perché nulla osta che Dio, causa onnipotente possa creare un mondo infinito – ma che Dio per la sua natura non possa che creare un mondo infinito: non per libera scelta di Dio ma per necessità: «il tasche de prouuer que Dieu n’a point de liberté/cerca di provare che Dio non è libero» (I, 230). Il confronto serrato con la metafisica bruniana, svolto nei capitoli centrali dell’opera, con il preciso richiamo ai passi originali bruniani dal De la causa e dal De l’infinito universo et mundi, che Mersenne traduce in francese, segna uno dei momenti di massima frizione fra moderno pensiero metafisico dell’infinità e teologia cattolica. È bene cogliere il fulcro dell’analisi di Mersenne: non è la mera ipotesi dell’infinità dei mondi a definire la posizione bruniana, ma che in essa l’infinità e l’animazione dell’universo siano conseguenze necessarie della conoscenza metafisica dell’essenza divina come causa, principio e uno. È un confronto fra necessità e libera onnipotenza.

Nella lettera a Jean Rey del 1° aprile 1632 (Corrispondenza di Mersenne, III, p. 275) il Minimo scrive: «Quanto a Giordano [Bruno], benché si serva di fondamenti molto sbagliati [=necessità], è tuttavia abbastanza probabile che il mondo sia infinito se è possibile che lo sia. Infatti, perché volete che una causa infinita non abbia un effetto infinito? Io ho in passato ho avuto altre dimostrazioni del contrario, ma possono essere facilmente risolte». In questo testo, nel quale Mersenne, ormai in contatto con Descartes, è disposto a riconoscere che le dimostrazioni contenute nel volume contro Bruno («in passato») siano facilmente rovesciabili, il teologo sottolinea comunque il fulcro del suo argomento teologico, ossia che non sia l’infinità del mondo in sé a porre un problema, ma i presupposti da cui Bruno la ricava, ossia la necessità secondo la quale opera la causa.

Non è un caso che Mersenne torni ai temi bruniani in uno dei manoscritti inediti conservati presso la Biblioteca Nazionale di Francia, oggetto delle ricerche promosse dalla Fondazione condotte dal professor Claudio Buccolini. In una quaestio manoscritta inedita risalente agli anni successivi al 1624, di nuovo dedicata ai temi dell’infinitismo bruniano, Mersenne discute testi tratti dai poemi francofortesi – i testi pubblicati in latino da Bruno durante il suo soggiorno in Germania –, in particolare il De immenso. Con grande incisività Mersenne sottolinea che il tema della infinità del mondo o dei mondi («mundum hunc infinitum esse, aut aliorum mundorum actualem infinitudinem») deve essere discusso a partire dalle difficoltà relative alla libertà divina («quantum ad ea quae spectant ad libertatem divina discutienda est»; Lat. 17262, p. 580). Questo il problema fondamentale che pone la metafisica divina che indaga l’essenza stessa della causa e dell’uno, e non, come correntemente si sintetizza, l’infinità del mondo in se stessa. In questo tutta la tecnicità, la specificità e, al tempo stesso, la drammaticità della lettura teologica mersenniana, che subito coglie un tratto decisivo della concezione moderna dell’infinito.

Bibliografia. M. Mersenne, L’Impiété des deistes, athées et libertins… ensemble la refutation des Dialogues de Jordan Brun, dans lequel il a voulu establir une infinité de mondes, et l’ame univeselle de l’Univers, seconde partie, Paris, Billaine, 1624
C. Buccolini, Una quæstio inedita di Marin Mersenne contro il De immenso, «Bruniana & Campanelliana» (1999/I), pp. 165-176.

Claudio Buccolini

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